Felicidad

Avevo il dono di rendere felici

Mia madre ha voluto chiamarmi Felicidad, perché diceva che avevo avuto il dono di renderli felici. Ma tutto è cambiato quando è morto Samuel, mio fratello più grande, quello che si era sempre preso cura di noi da quando papà si è ammalato. È stato allora che ho capito che toccava a me proteggere la mia famiglia e sostenerla, anche economicamente… ma come? In Salvador cercare un lavoro se sei donna è difficile e la pandemia aveva reso tutto più complicato. Per questo quando ho trovato una buona offerta navigando su internet, sono stata adescata, mi sono lasciata ingannare da quella che sembrava l’unica speranza per tutti.

Mamma e papà hanno venduto gran parte di quel poco che avevano solo perché potessi farcela. Ma quei soldi non bastavano, i soldi sembravano non bastare mai per quel biglietto.

Quando parti non dici a nessuno che stai lasciando il paese, è stato solo oltrepassando il primo confine che ho scoperto una realtà che non mi sarei mai aspettata: centinaia di altre donne nelle mie stesse condizioni, partite per un viaggio disperato, cadute nel tranello dei connection men, persone furbe e molto ben organizzate.

Mi sono ritrovata in Spagna e poi in Italia, completamente sola. Le uniche persone che conoscevo erano le donne partite insieme a me. I trafficanti continuavano a minacciarmi: non avrei dovuto parlare con nessuno, altrimenti mi avrebbero rispedita in Salvador. Non potevo permettere che succedesse, non potevo fare questo ai miei genitori dopo il loro sacrificio.

 Lavoro tutti i giorni come badante, senza pause, senza alcun diritto. Quello che guadagno, me lo portano via per ripagare il mio debito, dicono, e finché non restituirò tutto, non mi ridaranno indietro i miei documenti, l’unica prova della mia identità.
Tra la violenza e le continue minacce, sento che tutto quello che sono, si sta sgretolando. Vorrei tornare a rendere felici le persone, come diceva mia madre, come raccontava il mio nome, ma oramai mi sembra di aver perso anche quello.