Fariha

Con la fatica che brucia gli occhi e le mani

Sono Fariha, vengo da un piccolo villaggio in Pakistan. Non ricordo più cosa significhi avere una famiglia, l’ho persa troppo presto. Mia madre, mio padre, i miei fratelli non esistono più… morti o dispersi in un disperato viaggio verso l’Occidente.

Non c’era più nulla che mi legasse al mio villaggio, al posto in cui ero nata. Avevo paura di restare, paura di essere una donna in un luogo in cui esserlo rappresentava una minaccia per me.

Per questo ho deciso di partire. Dal Pakistan all’Italia, milioni di passi, uno dopo l’altro, per nove lunghi mesi.

Viaggiare da sola mi faceva paura, ma le volte in cui non lo ero rimpiangevo quella mia solitudine. Ho diviso il mio percorso con uomini che hanno trasformato quel percorso disperato in qualcosa di ancora peggiore.

Quando sono arrivata in Italia, in Puglia, alcuni miei connazionali mi hanno trovato un lavoro come bracciante agricola. Ma non credevo sarebbe andata così: fino a 15 ore piegati nei campi a lavorare, con la terra e la fatica che ti bruciano le mani e gli occhi. Il dolore alla schiena e la tosse per i prodotti chimici, di notte non ti facevano dormire e il giorno dopo tutto iniziava come quello precedente.

Per sopportare quel male a volte usavamo delle sostanze, so che è sbagliato, ma non potevo non lavorare e non potevo lavorare senza riuscire più nemmeno a piegare le dita.

Ma non voglio parlarne, non voglio ricordare: è l’unico modo per illudermi che nulla sia mai accaduto.